La finestra sul cortile
(USA 1954)
Titolo originale: Rear Window
Regia: Alfred Hitchcock
Sceneggiatura: John Michael Hayes
Tratto dal racconto: It Had To Be Murder di Cornell Woolrich (scritto con lo pseudonimo William Irish)
Cast: James Stewart, Grace Kelly, Thelma Ritter, Wendell Corey, Raymond Burr, Judith Evelyn, Georgine Darcy
Genere: guardone
Se ti piace guarda (non necessariamente con il binocolo) anche: Omicidio a luci rosse, Le vite degli altri, Disturbia
Una volta, quando non c’erano la tv satellitare o lo scaricamento selvaggio di film e serie tv, i videogame così come gli smart phone, la gente doveva arrangiarsi come poteva, per divertirsi. Si doveva inventare dei passatempi con quello che gli passava il convento. James Stewart, fotoreporter costretto temporaneamente sulla sedia a rotelle con una gamba ingessata, si ritrova così tutto il giorno seduto di fronte alla finestra a spiare, pardon a guardare ciò che fanno i suoi vicini di casa. Voyeur, maniaco, guardone… chiamatelo come volete, la sostanza non cambia.
In effetti però, come dargli torto? Le vite dei suoi vicini vanno a comporre un palinsesto più variegato di quello stitico di Canale 5: c’è la commedia romantica con la single alla Bridget Jones, ci sono i servizi sugli animali come quelli della nuova imperdibile (si fa per dire) rubrica di Studio Aperto Colpo di coda, c’è il canale soft porno con l’affascinante vicina in reggiseno (oh, siamo pur sempre negli anni ’50, epoca di molto pre-Colpo grosso), c’è la casa musicale antenata di Mtv con i musicisti jazz anziché le popstar e i rapper, e poi naturalmente c’è la parte thriller. Essendo dentro un film di Alfred Hitchcock, è questa a fungere da vero motore di tutta la pellicola.
Il caso thrilla è avvincente e molto ben costruito, ma il vero grande fascino della pellicola sta nella sua riflessione sul guardare, sull’essere visti e sul cinema.
La finestra sul cortile è una finestra aperta sul mondo del cinema ma che oggi, in epoca post grandefratelliana, può essere tranquillamente estesa ancora di più al mondo della reality tv. Soffermandoci sul cinema, il film ci mostra come il punto di vista sia sempre parziale. La percezione di una storia dipende da dove la guardiamo. Una celebrazione della ripresa soggettiva, così come una celebrazione del ruolo del regista. Noi spettatori siamo come James Stewart, seduti nelle nostre poltrone (si spera con le gambe non ingessate) e costretti a vedere solo ciò che il metteur en scène decide di mostrarci. Il ruolo dello spettatore non è però passivo. A un certo punto, James Stewart interviene direttamente nella storia, con l’aiuto delle sue due “aiutanti”, la sua girlfriend Grace Kelly e la sua infermiera e massaggiatrice (solo massaggiatrice, specifico) Thelma Ritter. Quindi Hitch ci suggerisce che lo spettatore con il suo punto di vista e con la sua percezione è fondamentale nel cucire assieme gli stimoli da lui proposti. Un’ipotesi poi confermata da quella che è probabilmente la scena più celebre diretta dal regista britannico, la sequenza dell’omicidio nella doccia di Psyco. Qui Hitchcock infatti non ci mostra direttamente la violenza. Non ci fa vedere la lama che affonda nella carne. Il collegamento viene fatto dallo spettatore.
Uno dei grandi pregi del suo cinema sta quindi nel non trattare i suoi spettatori come degli idioti, o come degli strumenti di fruizione passiva, ma di stimolare in loro, in noi, una riflessione. Come in un gioco enigmistico, lui ci mette i puntini, poi sta a noi unirli. Se è il maestro della suspance è anche per questo. Non solo perché è un mostro nel far salire la tensione, costruendo storie che spesso e volentieri partono lente, non disdegnando i toni della commedia romantica, e poi si fanno sempre più avvolgenti. L’arma in più che tiene tra le mani è quella della partecipazione attiva dello spettatore.
In un buon thriller, chi guarda vuole essere trascinato dentro la vicenda. Vuole diventare il detective dell’indagine. Hitchcock gli permette di esserlo, ed è questo ciò che rende i suoi film tanto riusciti. Poi vabbè, c’è anche dentro la sua maestria nel muovere la macchina da presa che comunque non è mai fine a se stessa, ma è appunto usata per svelarci qualcosa.
Da applausi in tal senso è il finale della pellicola. Non mi riferisco alla parte thriller. Parlo dell’ultimissima scena, in cui non abbiamo una celebrazione del matrimonio come ci si potrebbe attendere da una pellicola hollywoodiana anni ’50. I due protagonisti stanno ancora insieme, lui ha smesso di essere ossessionato dalla vita degli altri e ha finalmente girato la sedia a rotelle dall’altra parte, mentre sembra che Grace Kelly abbia rinunciato ai suoi propositi nuziali, almeno per il momento, e si gode semplicemente il ruolo della fidanzata. La ragazza assenda le passioni di James Stewart, mentre fa finta di leggere una guida avventurosa sull’Himalaya, e allo stesso tempo si dedica pure a se stessa, con la lettura della rivista di moda Bazaar. Una coppia di fatto che rende ancora più moderna una pellicola che porta (quasi) 60 anni benissimo.
Io ora credo di aver detto tutto quello che avevo da dire sul film. E voi, sempre qui? Che avete ancora da guardare?
(voto 8,5/10)
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