lunedì 1 agosto 2016

Chiuso per ferie


Ci prendiamo una pausa (meritata). Ritorneremo con i Minimal Cult a settembre. Buona vacanze a tutti.

venerdì 29 luglio 2016

I-i-io e Allen


Io e Annie
(U-U-USA 1977)
Titolo originale: Annie Hall
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen, Marshall Brickman
Cast: Woody Allen, Diane Keaton, Tony Roberts, Carol Kane, Paul Simon, Shelley Duvall, Jeff Goldblum, Christopher Walken, John Glover, Beverly D’Angelo, Sigourney Weaver, Marshall McLuhan
Genere: woo-woo-woodyallen
Se ti piace guarda anche: Louie, Girls, Alta fedeltà, un altro film di Woody Allen a caso

I-i-io, be-beh ho un rapporto conflittuale con con… con chi? Co-con Woody Allen. Amato e odiato, sopravvalutato e sottovalutato, genio e ciarlatano, comico e drammatico, irresistibile e noioso, prova cose differenti e gira sempre lo stesso film, ba-ba-balbetta ma parla un sacco, fa un sacco di pellicole fondamentali e allo stesso tempo ne fa un sacco di inutili. Tutto e niente, questo è Woody Allen e be-be-beh io non ancora capito se più mi piace o più non mi piace e alla fine però i-i-io o-o-ogni tanto se-sento che de-devo vedere un suo film, ma non è che de-devo, è più che vo-vo-voglio cioè ho voglia di vedere un suo film.
Il mio rapporto con Allen è conflittuale anche perché trovo pa-pa-parecchio sopravvalutati suoi film osannati come capolavori assoluti come Manhattan e Match Point, no-no-nostante la presenza della mia Scarlett preferita, mentre altri sono un pochetto sottovalutati, come il grande Harry a pezzi o l’affascinante Sogni e delitti, o Vicky Cristina Barcelona e Scoop, sempre con la mia Scarlett preferita, e poi perché anche in tempi recenti è capace sia di piccole meraviglie come Midnight in Paris che grandi schifezze come To Rome With Love e poi pe-pe-perché gira tro-tro-troppi film. E-ecco, io questa cosa beh-beh, non la reggo. Io preferisco i registi che fanno un film ogni morte (o dimissione) di Papa e lo fanno aspettando il progetto giusto e curando tutti i dettagli in maniera maniacale, quelli che hanno una filmografia snella. Woody quanti film ha girato? Una cinquantina. Ma chi è che li ha visti tutti? Lui? Nemmeno lui, probabilmente.
I-i-io beh a-adesso ho voluto recuperarmi alla buon ora uno dei suoi più celebri lavori, I-Io e A-A-Annie che oh-oh-oh, non l’avevo ancora mai visto perché come ho detto ne ha fatti troppi e quando uno fa troppi film poi rischia che il pubblico non guardi quelli fondamentali e guardi quelli sbagliati tipo cioè io mi immagino le nuove generazioni che sentono parlare di questo grande autore newyorkese Woody Allen che insomma è una figura fondamentale del cinema e della scrittura cinematografica e come scrive monologhi e dialoghi lui be-be-beh ce ne sono pochi in giro e magari qualche giovincello non ha mai visto un suo film e pensa: “Oh, mi guardo l’ultimo di Allen!” e si becca To Rome With Love con la Mastronardi e resta con gli occhi sbarrati e pensa che non vedrà mai più un altro lavoro di Allen in vita sua e sono queste le cose che capitano quando uno gira troppi film e si fa trascinare dagli eventi ed esce con una pellicola all’anno tanto per tanto pe-pe-perché così ormai ha preso l’abitudine e allora sono anche cavoli suoi cioè a me che mi frega se si sputtana così la carriera? che poi di solito 1 su 2 tra i suoi ultimi film è interessante e allora se invece di un film all’anno ne girasse uno ogni due anni sfornerebbe solo ottima roba oppure al contrario girerebbe solo quelli schifosi?
I-I-Io e A-A-Annie dicevo, beh sì dovevo vederlo perché ancora mi mancava e mi è piaciuto sì mi è piaciuto però ancora non è riuscito a risolvere il mio dubbio esistenziale se Woody Allen più mi piace o più non mi piace perché sì è un ottimo film ma allo stesso tempo a livello emotivo non l’ho amato completamente.
Il mio problema con Allen è che mi sta simpatico, alcune sue battute mi fanno morire, alcune trovate le trovo geniali eppure come emozioni un suo film non mi travolge del tutto forse perché è proprio lui che è fatto così, lui non si innamora, lui si infatua, passa da una donna all’altra da un progetto all’altro da un film all’altro salta di fiore in fiore in maniera rapida eppure alla fi-fi-fine si infatua sempre della stessa donna e realizza sempre la stessa pellicola con lo stesso protagonista: lui.
E-e-ecco, lui parla sempre di se stesso. Credo che l’unico che possa amare davvero e completamente i suoi film al ce-ce-cento per ce-ce-cento sia lui stesso. I-I-Io e A-A-Annie? No! Io e basta. E il titolo italiano è anche più giusto di quello originale: Annie Hall. Annie Hall? No, non è un film su Annie Hall, una spumeggiante Diane Keaton, è un film su Alvy, ma chiamiamolo pure con il suo vero nome: Woody Allen. Un po’ tutti i film di Woody Allen dovrebbero essere intitolati: Woody Allen. Questo è il loro principale limite. Meno ti ritrovi in lui, meno ti piaceranno. Contemporaneamente è anche il loro principale pregio perché Woody Allen è un personaggio magnifico, che resiste alla prova del tempo e che riesce a dire sempre qualcosa di arguto e interessante, riesce a essere intellettuale ma pure terra e terra, dallo spirito antico ma comunque moderno. I protagonisti di due delle migliori serie comedy degli ultimi anni come Louie e Girls non sono altro che variazioni personali su questo modo di raccontarsi. Louie alias Louis C.K. non a caso apparirà nel prossimo film di Woody Allen di rientro a New York e Girls più che una versione indie di Sex and the City è il diario personale di Lena Dunham, una Woody Allen al femminile, e pure loro sono egocentrici ed egotomani e pure loro sono newyorkesi, ci sarà qualcosa nell’aria o sarà che tutti i più egocentrici ed egotomani vanno a vivere lì e chi-chi-chissà forse mi dovrei trasferire lì anche io ma mi sa che non sono egocentrico ed egotomane abbastanza non ai livelli di Woody, Louie e Lena comunque no. O forse sì?
I-i-io volevo parlare di I-I-Io e A-A-Annie e invece non l’ho ancora fatto e tanto beh tanto l’avete già visto tutti e anche se non l’avete visto potete immaginarvelo perché è il solito Woody, solo all’ennesima potenza e in forma creativa strepitosa, in questo film è un fiume in piena di parole di dialoghi di monologhi ed è tutto un grande flusso di coscienza in cui il suo rapporto con tale Annie Hall guidatrice pazza è giusto un pretesto per parlare come al solito di se se se stesso e mostrare le sue fisse e manie, il suo autismo/newyorkismo/egocentrismo estremo e qui lo fa con un dispiego di mezzi davvero creativo tra split-screen, cartoni animati, rottura della quarta parete e questo forse è un po’ il suo Amarcord, non a caso Fellini viene citato da un tizio saputello in fila al cinema, o forse tutti i suoi film sono un po’ i suoi Amarcord o meglio sono le pagine del suo diario e il bello così come il brutto delle sue pellicole è che c’è lui lui lui solo lui e non c’è spazio per altro anche se qui fa comparire persino il guru della comunicazione Marshall McLuhan e in brevi cameo ci sono pure Christopher Walken, Jeff Goldblum e Sigourney Weaver ma non hanno tanta importanza perché la riuscita di un suo film dipende fondamentalmente solo dal su-su-suo sta-sta-stato di forma e in I-I-Io & A-A-Annie Woody è in formissima è un vulcano di idee e creatività e comunque alla fine sì se devo scegliere se più mi piace o più non mi piace dico che Woo-woo-woody più mi-mi-mi piace, woo-woo!

(voto 8-/10)




lunedì 25 luglio 2016

Extra Cult - Into the wild


Mettiamo in pausa le recensioni del ragazzo cannabile per qualche tempo e proponiamo alcune locandine minimal senza le recensioni...
ecco arrivare gli Extra Cult ;-)

venerdì 22 luglio 2016

Vecchi e nuovi incubi


Nightmare - Dal profondo della notte
(USA 1984)
Titolo originale: A Nightmare on Elm Street
Regia: Wes Craven
Sceneggiatura: Wes Craven
Cast: Heather Langenkamp, Robert Englund, Johnny Depp, John Saxon, Ronee Blakley, Amanda Wyss, Jsu Garcia, Lyn Shaye
Genere: da incubo
Se ti piace guarda anche: gli altri Nightmare

Freddy Krueger a me non ha mai fatto una gran paura.
Lo so a cosa state pensando, lo so: che sono una persona estremamente coraggiosa. Quello, o forse state pensando che sia una persona estremamente bugiarda. Qualunque sia la verità, in questo caso sto dicendo proprio la verità. Ho sempre trovato Freddy più comico che spaventoso. Sarà che sono cresciuto con le sue imitazioni, come quella fatta da Willie nei Simpson, prima ancora che con la pellicola originale, che ho recuperato poi più in là in età relativamente adulta. O sarà che da bambinetto i miei incubi erano già troppo impegnati ad essere infestati da un’altra creatura demoniaca: Bob di Twin Peaks.
Insomma, Freddy Krueger non mi ha mai fatto tutta ‘sta paura.




AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!
Quel coso è Freddy Krueger?
Oddio che paura!!!
Ritiro tutto. Mi fa una paura fottuta. Quando sono sveglio no, però. Solo quando dormo.
Questo significa che ora sto sognando?
Sto sognando di scrivere un post su Freddy Krueger anziché sognare di fare all’amore con le protagoniste della serie tv Scream?
Ma che son scemo?
Questo sogno mi ha fatto venire voglia di riguardarmi Nightmare. Questo sogno, o anche il fatto che Wes Craven è venuto a mancare circa un annetto fa e quindi mi andava di ricordarlo con quella che è la sua creatura più celebre e identificativa, visto che la saga di Scream la conosco già a memoria.
Sono così andato a rivedermi il primo Nightmare - Dal profondo della notte a qualche anno di distanza dalla prima visione e visto oggi fa un effetto un po’ particolare. Da una parte è una pellicola troppo avanti. Il vero e proprio capostipite e modello di riferimento per gran parte dei miei amati teen horror che sono venuti in seguito. Come Halloween di John Carpenter, forse anche più di Halloween di John Carpenter. Scream dello stesso Wes Craven a tratti appare quasi una presa in giro ironica di Nightmare. Ultimo esempio: lo splendido It Follows, che in più di una scena lo omaggia, anche in maniera piuttosto esplicita. Si può quindi definire un film ancora oggi più che attuale e che non mostra troppe rughe.
Freddy Krueger: 30 anni e passa portati benissimo.
Insomma...
Dall’altra parte continua a non spaventarmi un granché, questo Freddy. Fino a che non chiudo gli occhi. Se la visione di Nightmare scivola che è un piacere, anche nei suoi momenti più inquietanti e splatter, una volta che vado a dormire me lo ritrovo lì davanti. Con i suoi artigli e le sue filastrocche.
1, 2, 3 Freddy viene per te…
4, 5, 6 al sicuro non sei…
7, 8 il crocifisso tieni stretto…
8, 9 sta dormendo e tu sai dove…
8, 9, 10 apri gli occhi e poi muori…

(voto 7,5/10)


Nightmare - Nuovo incubo
(USA 1994)
Titolo originale: New Nightmare
Regia: Wes Craven
Sceneggiatura: Wes Craven
Cast: Heather Langenkamp, Robert Englund, Miko Hughes, Tracy Middendorf, Wes Craven
Genere: da sogno
Se ti piace guarda anche: gli altri Nightmare

Sono morto?
Sono in Paradiso?
Sì, figuriamoci, al massimo sono finito all’Inferno.
O forse sto sognando?
È questo il nuovo incubo di cui parla Wes Craven?
Probabilmente sono dentro a un incubo in cui continuo a scrivere sempre lo stesso post. Mi sembrava di aver terminato quello su Nightmare e invece sono ancora qui. Perché?
Perché, Dio, perché???
Dio: “Perché devi scrivere di Nightmare - Nuovo incubo, imbecille!”
Ah, è vero. Grazie Dio!
Nightmare - Nuovo incubo segna il ritorno di Wes Craven al suo Freddy. Dopo che la saga era continuata con al timone altri registi, per una serie di sequel che continuano a mancare alle mie visioni, il settimo capitolo, oltre a vedere il comeback del suo autore, è anche qualcosa di differente dal solito seguito. Nightmare 7 è piuttosto una rielaborazione dell’immaginario di Nightmare in bilico costante tra realtà e finzione e tra realtà e sogno. O meglio incubo. In Nightmare 7 vediamo ritornare anche la protagonista dei primi episodi della saga, l’attrice Heather Langenkamp, il prototipo della ragazza-Craven, con quel suo volto da innocente brava ragazza americana che avranno anche le future fanciulle dell’universo craveniano, come Neve Campbell della saga cinematografica di Scream e Willa Fitzgerald della nuova serie televisiva di Scream, che tra l’altro ha chiuso con il botto, con un penultimo episodio girato alla grande da Ti West, uno dei più accreditati aspiranti al titolo di “nuovo Wes Craven”. Non per essere cinici ma, anche se è morto da appena pochi giorni, bisogna già cercare un suo erede. Niente male anche l’ultima puntata della prima stagione di Scream che ha svelato l’identità dell’assassino, senza dover aspettare settordicimila stagioni come ad esempio è successo con le Pretty Little Liars.
Le due attrici per altro si somigliano parecchio, al punto che non ci sarebbe da stupirsi se si scoprisse che in realtà Willa Fitzgerald è la figlia segreta di Heather Langenkamp.
O comunque si assomigliano di più loro del Johnny Depp in Nightmare...
...e del Johnny Depp di oggi.
Nella serie tv Scream la madre di Willa Fitzgerald è interpretata dalla bionda Tracy Middendorf, che in Nightmare - Nuovo incubo aveva invece la parte della babysitter...
...babysitter tra l’altro di un bambino inquietantissimo, Miko Hughes, visto anche in Un poliziotto alle elementari e Codice Mercury.
Heather Langenkamp ha qui la parte di se stessa, l’attrice che è chiamata a reinterpretare Nancy nella saga di Nightmare ancora una volta diretta da Wes Craven, pure lui nel ruolo di se stesso, e a vederlo scende giù una lacrimuccia.
Non sarà mitico quanto il primo capitolo, però Nightmare - Nuovo incubo è una pellicola estremamente interessante. Non il solito remake porcata, quanto piuttosto un elaborato gioco metacinematografico, che verrà poi ripreso da Wes Craven anche in Scream 3. Un film in cui non si capisce dove finisce la finzione del grande schermo e inizia la vita vera. Un po’ come sta capitando a me adesso. Non so se sto scrivendo per davvero, o se sto solo sognando di scrivere e, se sto sognando, devo fare molta attenzione perché Freddy potrebbe venire a prendermi. Finché sono sveglio, non può farmi del male. Solo che non sono sicuro di essere sveglio...
C’è un tipo ustionato da troppe lampade e che avrebbe bisogno di una manicure che si sta avvicinando a me con aria minacciosa...
Hey, ma è proprio Freddy!


AAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!
(voto 7/10)

mercoledì 20 luglio 2016

Guardone? Chiamatemi voyeur, anzi detective


La finestra sul cortile
(USA 1954)
Titolo originale: Rear Window
Regia: Alfred Hitchcock
Sceneggiatura: John Michael Hayes
Tratto dal racconto: It Had To Be Murder di Cornell Woolrich (scritto con lo pseudonimo William Irish)
Cast: James Stewart, Grace Kelly, Thelma Ritter, Wendell Corey, Raymond Burr, Judith Evelyn, Georgine Darcy
Genere: guardone
Se ti piace guarda (non necessariamente con il binocolo) anche: Omicidio a luci rosse, Le vite degli altri, Disturbia
Una volta, quando non c’erano la tv satellitare o lo scaricamento selvaggio di film e serie tv, i videogame così come gli smart phone, la gente doveva arrangiarsi come poteva, per divertirsi. Si doveva inventare dei passatempi con quello che gli passava il convento. James Stewart, fotoreporter costretto temporaneamente sulla sedia a rotelle con una gamba ingessata, si ritrova così tutto il giorno seduto di fronte alla finestra a spiare, pardon a guardare ciò che fanno i suoi vicini di casa. Voyeur, maniaco, guardone… chiamatelo come volete, la sostanza non cambia.
In effetti però, come dargli torto? Le vite dei suoi vicini vanno a comporre un palinsesto più variegato di quello stitico di Canale 5: c’è la commedia romantica con la single alla Bridget Jones, ci sono i servizi sugli animali come quelli della nuova imperdibile (si fa per dire) rubrica di Studio Aperto Colpo di coda, c’è il canale soft porno con l’affascinante vicina in reggiseno (oh, siamo pur sempre negli anni ’50, epoca di molto pre-Colpo grosso), c’è la casa musicale antenata di Mtv con i musicisti jazz anziché le popstar e i rapper, e poi naturalmente c’è la parte thriller. Essendo dentro un film di Alfred Hitchcock, è questa a fungere da vero motore di tutta la pellicola.
Il caso thrilla è avvincente e molto ben costruito, ma il vero grande fascino della pellicola sta nella sua riflessione sul guardare, sull’essere visti e sul cinema.
La finestra sul cortile è una finestra aperta sul mondo del cinema ma che oggi, in epoca post grandefratelliana, può essere tranquillamente estesa ancora di più al mondo della reality tv. Soffermandoci sul cinema, il film ci mostra come il punto di vista sia sempre parziale. La percezione di una storia dipende da dove la guardiamo. Una celebrazione della ripresa soggettiva, così come una celebrazione del ruolo del regista. Noi spettatori siamo come James Stewart, seduti nelle nostre poltrone (si spera con le gambe non ingessate) e costretti a vedere solo ciò che il metteur en scène decide di mostrarci. Il ruolo dello spettatore non è però passivo. A un certo punto, James Stewart interviene direttamente nella storia, con l’aiuto delle sue due “aiutanti”, la sua girlfriend Grace Kelly e la sua infermiera e massaggiatrice (solo massaggiatrice, specifico) Thelma Ritter. Quindi Hitch ci suggerisce che lo spettatore con il suo punto di vista e con la sua percezione è fondamentale nel cucire assieme gli stimoli da lui proposti. Un’ipotesi poi confermata da quella che è probabilmente la scena più celebre diretta dal regista britannico, la sequenza dell’omicidio nella doccia di Psyco. Qui Hitchcock infatti non ci mostra direttamente la violenza. Non ci fa vedere la lama che affonda nella carne. Il collegamento viene fatto dallo spettatore.
Uno dei grandi pregi del suo cinema sta quindi nel non trattare i suoi spettatori come degli idioti, o come degli strumenti di fruizione passiva, ma di stimolare in loro, in noi, una riflessione. Come in un gioco enigmistico, lui ci mette i puntini, poi sta a noi unirli. Se è il maestro della suspance è anche per questo. Non solo perché è un mostro nel far salire la tensione, costruendo storie che spesso e volentieri partono lente, non disdegnando i toni della commedia romantica, e poi si fanno sempre più avvolgenti. L’arma in più che tiene tra le mani è quella della partecipazione attiva dello spettatore.
In un buon thriller, chi guarda vuole essere trascinato dentro la vicenda. Vuole diventare il detective dell’indagine. Hitchcock gli permette di esserlo, ed è questo ciò che rende i suoi film tanto riusciti. Poi vabbè, c’è anche dentro la sua maestria nel muovere la macchina da presa che comunque non è mai fine a se stessa, ma è appunto usata per svelarci qualcosa.
Da applausi in tal senso è il finale della pellicola. Non mi riferisco alla parte thriller. Parlo dell’ultimissima scena, in cui non abbiamo una celebrazione del matrimonio come ci si potrebbe attendere da una pellicola hollywoodiana anni ’50. I due protagonisti stanno ancora insieme, lui ha smesso di essere ossessionato dalla vita degli altri e ha finalmente girato la sedia a rotelle dall’altra parte, mentre sembra che Grace Kelly abbia rinunciato ai suoi propositi nuziali, almeno per il momento, e si gode semplicemente il ruolo della fidanzata. La ragazza assenda le passioni di James Stewart, mentre fa finta di leggere una guida avventurosa sull’Himalaya, e allo stesso tempo si dedica pure a se stessa, con la lettura della rivista di moda Bazaar. Una coppia di fatto che rende ancora più moderna una pellicola che porta (quasi) 60 anni benissimo.
Io ora credo di aver detto tutto quello che avevo da dire sul film. E voi, sempre qui? Che avete ancora da guardare?

(voto 8,5/10)



lunedì 18 luglio 2016

La prima uscita dei Minimal Cult


Come annunciato da questo blog sabato 16 luglio, alla libreria Le Notti Bianche di Vigevano, si è tenuto il lancio dei Minimal Cult (insieme alla seconda edizione dei Minimal Incipit). Ringraziamo Ludovica Giuliani, fantastica libraria, e Daniele Barinotti per l'accoglienza e il supporto. Un grazie particolare a tutte le persone che sono passate e che hanno apprezzato l'esposizione.
Cliccate qui per la galleria fotografica della mostra.
Alla prossima...

venerdì 15 luglio 2016

Lo squalo o di come Spielberg svuotò le spiagge


Lo squalo
(USA 1975)
Titolo originale: Jaws
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Peter Benchley, Carl Gottlieb
Ispirato al libro: Lo squalo di Peter Benchley
Cast: Roy Scheider, Robert Shaw, Richard Dreyfuss, Lorraine Gary, Murray Hamilton, Carl Gottlieb
Genere: squalesco
Se ti piace guarda anche: Duel, Psyco, Sharknado

Ci sono dei registi che sono dei gran bastardi. Ci mettono di fronte a delle situazioni comuni e tranquille e le fanno diventare spaventose. Il primo, il Maestro di codesti bastardi è naturalmente Alfred Hitchcock, che ci ha fatto guardare con diffidenza gli uccelli e ha cercato di tenerci a distanza di sicurezza dalle docce. Un altro che ci voleva sporchi, che ci voleva lontani dall’acqua era Steven Spielberg. Steven Spielberg quello cattivo dei primi tempi, quello che già ci aveva fatto aver paura dei camioni con Duel, quello che non era ancora diventato il re dei registi buonisti degli ultimi tempi. Ai tempi, correva l’anno 1975, non era l’uomo che sussurrava ai cavalli del terribile War Horse o il regista istituzionale del barboso Lincoln. Allora era un sadico pezzo di merda che voleva farci strizzare in qualunque occasione. Anche quelle in cui non avremmo mai pensato di essere terrorizzati.

Siete in spiaggia, fa un caldo micidiale e tutto quello che volete fare è buttarvi in acqua.
Bene, fatto!
Siete in spiaggia, fa un caldo micidiale e tutto quello che volete fare è buttarvi in acqua.
Fatelo dopo aver visto Lo squalo...
Beh, com’è che siete ancora stesi sullo sdraio? Non avete più tutto questo caldo? Non sentite più il bisogno di farvi un bel bagno rinfrescante? Cos’è, temete che una pinna nera possa spuntare all’improvviso in mezzo alle onde quiete di un tranquillo pomeriggio estivo?
Gli squali sono predatori, animali terrificanti, semplice spaventare le persone con delle bestie del genere. Il colpo da maestro dell’allora giovine Spielberg è stato quello di inserirli in un contesto in cui di norma non ci si immaginerebbe di trovarli. In una località di villeggiatura per famiglie, non in mare aperto, ma vicino alla riva, dove chiunque un momento può farsi un bel bagno e l’attimo dopo ritrovarsi sbranato dai denti aguzzi di uno squalo che passava di lì per farsi anche lui le sue meritate vacanze estive.

È stato così, con quella scena memorabile e leggendaria dell’attacco squalesco in pieno giorno, che Mr. Spielberg è entrato nella Storia del Cinema ed è stato così che noi tutti abbiamo cominciato ad andarci piano con i “tranquilli” bagni in mare.
Erano parecchi anni che non rivedevo Lo squalo e devo dire che lì per lì la visione non mi ha messo tutta questa paura. Mai parlare troppo presto. L’indomani, mentre ero lì lì per buttarmi in acqua per fare un bagnetto rinfrescante, mi è un po’ presa l’angoscia. Lo so che nel Mar Ligure è alquanto improbabile imbattersi in uno squalo, soprattutto dove l’acqua non è profonda, soprattutto dove persino i bimbetti toccano ancora, però è proprio ciò che capita nella pellicola, su una spiaggia turistica dell’isola di Amity, in cui l’evento più traumatico fino ad allora era stato l’avvento del rock’n’roll qualche anno prima.
Questa è una delle scene cinematografiche più spaventose mai girate, insieme a quella della doccia di Psyco, e ancora oggi è capace di creare traumi e turbamenti. Il resto del film però com’è?
Lo squalo resta un grande classico, ha generato un sacco di seguiti, epigoni e imitatori, il più delle volte pessimi (Shark 3D, Shark Night 3D), altre volte pessimi però almeno divertenti (lo scult dell’estate 2013 Sharknado), è insomma una pietra miliare eccetera, non lo metto in dubbio, eppure non è una pellicola del tutto esente da difetti.
Per essere il primo blockbusterone estivo nella storia del cinema americano, offre sì un solido intrattenimento, ma anche qualche momento di stanca. Dopo una prima ottima parte, in cui entra in gioco pure la tematica politica, con la figura del sindaco senza scrupoli che si rifiuta di chiudere le spiagge per non danneggiare il turismo nella cittadina, la seconda parte qualche sbadiglio lo causa. Quando lo sboccato lupo di mare Quint (Robert Shaw) va in mezzo al mare in compagnia dello sbirro Martin Brody (Roy Scheider) e dell’esperto squalesco Matt Hooper (Richard Dreyfuss) per uccidere il pericoloso squalo, la loro missione di caccia, pardon di pesca è bella noiosetta. Va bene la quiete prima della tempesta, va bene far salire lentamente la tensione, però rappresenta una parte deboluccia del film, prima di arrivare al gran finale, quello di nuovo magistrale.
Se Spielberg è in formissima a livello registico, la sceneggiatura non è invece impeccabile, anche perché i personaggi non è che siano costruiti poi così alla grande e non è che provochino tutta questa empatia. Il protagonista assoluto e il vero personaggione della pellicola e inoltre – diciamolo – l’attore migliore del lotto è allora lui, lo squalo. Al punto che io quasi quasi alla fine sono arrivato a fare il tifo per lui. Per lui e per la cattiveria di Spielberg, quando era ancora uno con le palle, quando era ancora uno con le mascelle (jaws) pronte ad azzannare lo spettatore. Dov’è finito adesso quel regista? È stato sbranato da uno squalo?

(voto 7,5/10)


mercoledì 13 luglio 2016

Pretty Woman, ecco perchè è una fiaba (anche) per uomini


Pretty Woman
(USA 1990)
Regia: Garry Marshall
Sceneggiatura: J.F. Lawton
Cast: Richard Gere, Julia Roberts, Jason Alexander, Laura San Giacomo, Hector Elizondo, Ralph Bellamy, Hank Azaria
Genere: romcom all’ennesima potenza
Se ti piace guarda anche: Se scappi, ti sposo, Il matrimonio del mio migliore amico, Notting Hill, Il diario di Bridget Jones, Come farsi lasciare in 10 giorni

Gli uomini hanno una percezione profondamente sbagliata di Pretty Woman. Mi ci metto dentro anche io, che non lo vedevo da anni. Da quando ero un bambinetto e Julia Roberts non mi stava troppo simpatica. Poi sarebbero arrivati Erin Brockovich, Closer e I segreti di Osage County e la mia impressione nei suoi confronti sarebbe cambiata, però da ragazzino la identificavo unicamente come la regina delle romcom, l’eterna Pretty Woman. Pensavo che quel film, il suo più celebre, fosse solo una “roba da femmine”. Rivedendolo oggi, posso dire che mi sbagliavo. A 25 di distanza dall’uscita della pellicola, con un leggerissimo ritardo posso dire che mi sbagliavo di grosso.

Pretty Woman è una delle pellicole più amate dal pubblico femminile. Ci sarebbe da chiedersi come mai tante donne si identifichino con una prostituta, ma forse è meglio lasciar perdere. Tutti pensano che sia una specie di fiaba moderna in cui la fanciulla in difficoltà viene salvata dal principe azzurro, bello e ricco. La stessa Vivian Ward/Pretty Woman/Julia Roberts lo mette bene in evidenza all’interno del film. Quando però alla fine Edward Lewis/Pretty Man/Richard Gere le domande cosa succede dopo, Vivian risponde che lei salva lui. Ed è questa la vera chiave di lettura principale del film: Pretty Woman è una splendida fiaba moderna non solo e non tanto per le donne, ma anche e soprattutto per gli uomini.

Il motivo?
Non solo perché Vivian fa tornare umano Edward, sia nei rapporti sentimentali, che in quelli di lavoro, ma anche perché Pretty Woman è la donna ideale.
Il sogno di ogni uomo, o almeno di molti uomini, o almeno il mio, non è quello di stare insieme a una prostituta. L’idea che vada con altri non è accettabile. Il sogno di un uomo è stare con una ex prostituta, una donna che abbandona il mestiere per diventare la sua zoccola personale ed esclusiva.
Tra l’altro Pretty Woman inventa una professione nuova. Quello della prostituta è il mestiere più antico del mondo, è vero, ma la escort, quella che offre un servizio come accompagnatrice, anche all’infuori della semplice prestazione sessuale, è una figura che è stata sdoganata nell’immaginario collettivo proprio da questo film firmato da Garry Marshall. Pretty Woman è apparentemente una romcom innocua, mentre in realtà è un’istigazione, nemmeno troppo velata, alla prostituzione e allo sfruttamento della prostituzione.
Di certo Berlusconi, che non so perché mi è venuto in mente, un’occhiata attenta al film gliel’avrà data. La scena in cui il direttore dell’albergo spaccia Vivian per la nipote di Edward credo che possa avergli ispirato una certa idea...

Se da un punto di vista sessuale Vivian/Julia Roberts è disinibita e non si tira mai indietro e questo è un notevole punto a suo favore, sono però anche altre le caratteristiche che la rendono la donna perfetta.
Innanzitutto è appassionata di motori, al punto da avere molta più confidenza nella guida della Lotus con cambio manuale (gli americani poveretti sono fissati con il cambio automatico) ben più di Edward/Richard Gere. Se fosse pure patita di calcio e bevesse birra, sarebbe proprio il massimo. Comunque lo champagne lo beve volentieri e il calcio nel film non c’è, ma solo perché siamo pur sempre negli Stati Uniti e del calcio non gliene frega niente a nessuno, soprattutto nel 1990.
Siamo nel 1990, e si vede. La pellicola è infatti deliziosamente in bilico tra i due decenni: da una parte è il canto del cigno dello yuppismo 80s, dall’altra rappresenta il nuovo modello di romcom cui in molti si ispireranno nel corso dei 90s e ancora oggi. Si veda Cinquanta sfumature di grigio che, più che una fan fiction di Twilight, sembra una rielaborazione sadomaso di Pretty Woman.

Vivian/Julia Roberts inoltre è rossa di capelli. A me personalmente le rosse fanno andare fuori di testa, ma se per caso non fosse il vostro genere no problem, all’occasione lei indossa anche una parrucca bionda. In più, nella vasca da bagno ascolta “Kiss” di Prince, non chessò Baglioni o Ramazzotti o i New Kids on the Block, e quindi ha pure dei buoni gusti musicali. Inoltre è una tipa simpatica, alla mano, fisicamente è una gran bella sventola nonostante abbia una bocca enorme, aspetta il suo uomo nuda in camera e gli fa pure il bagnetto. In pratica fa da moglie, da madre e da amante tutto allo stesso tempo.

Vedete?
Pretty Woman è la donna ideale. Edward Lewis/Richard Gere riuscendo a toglierla dalla strada e a farla diventare la sua tipa realizza il sogno di ogni uomo, o almeno di molti uomini, o almeno il mio.

(voto 7,5/10)

https://66.media.tumblr.com/118a195d302574c3e1b00687175b3d1e/tumblr_npl1pnBKZ11r76cvlo1_500.gif

lunedì 11 luglio 2016

American Horror Story
Ho paura di aver paura della paura


American Horror Story
(serie tv, stagione 1, puntata pilota)
Rete americana: FX dal 5 ottobre 2011
Rete italiana: su Fox dall’8 novembre 2011
Creata da: Ryan Murphy, Brad Falchuk
Regia primo episodio: Ryan Murphy
Cast: Connie Britton, Dylan McDermott, Taissa Farmiga, Evan Peters, Jessica Lange, Denis O’Hare, Jamie Brewer, Shelby Young, Alexandra Breckenridge, Frances Conroy
Genere: paura
Se ti piace guarda anche: American Gothic, Masters of horror, Twin Peaks

“Di cosa hai paura?”
“Ultimamente? Di tutto. La vita tende a farti questo effetto.”


Paura. Hai paura?
Io sì.
Perché?
Perché ho visto questa cazzo di serie che mi ha fatto strippare del tutto e adesso…
Adesso cosa?
No. Non posso dirtelo. È troppo pericoloso. Ci stanno ascoltando.
Ma chi?
sussurrato: Loro.
Loro chi?
Non lo so. Loro. Sono ovunque. Ci ascoltano. Ci osservano.
Oh, anche tu con ‘sta paranoia delle intercettazioni?
Sì.
Hai bisogno pure tu di un DDL?
No, ho solo visto American Horror Story con l’ADSL. E voglio vederlo ancora.
E che cos’è?
È una nuova serie tv. Il pilot è la cosa più pazzesca che abbia visto in tv (anche se poi in realtà l’ho vista sul portatile, ma non dirlo a nessuno) negli ultimi 20 anni. Su per giù dai tempi di Twin Peaks. Sì, Twin Peaks. Ho i brividi al solo nominarlo. O dai tempi di American Gothic, quella sì che era una serie spaventosa. La cosa più convincente di questo American Horror Story non è che ci racconti una storia del tutto nuova. È il modo di raccontarlo che è nuovo. Diverso. Una pugnalata allo stomaco del resto della programmazione televisiva omologata. Quella fatta da serie tutte uguali. Qui c’è un montaggio frenetico. Un montaggio scatt. Un montaggio scattoso. Uno stile veloce che ti fa accelerare i battiti del cuore. Ti spaventa. Ti stende. Sembra di essere in Shining però girato dal Gus Van Sant più indie però montato alla velocità della luce. No, non della luce. Dei neutrini. I neutrini sì che van veloci. Altoché Usain Bolt. This shit is dope as fuck. Dammit. Ci sono tagli di montaggio e tagli delle vene. C’è una scena iniziale che ricorda gli horror anni ’70 alla Halloween di John Carpenter e inquadrature sbilenche e apparizioni e omicidi e fantasmi e sesso sadomaso e poi. Una sigla che sembra fatta dai Portishead spaventati a morte. Forse minacciati con una pistola. Jessica Lange in un ruolo estremamente sgradevole. E ha una figlia down inquietante. Inquietante non perché è down, ma perché è inquietante punto. E a proposito di inquietante c’è Denis O’Hare, il Russell Edgington di True Blood, con mezzo volto sfigurato. E poi ci sono le musiche di Bernard Herrmann che spuntano fuori da Kill Bill e Vertigo. E poi…
Poi cosa?
È troppo rischioso. Secondo me ci stanno sentendo. Devo abbassare la voce: in American Horror Story la protagonista è Connie Britton, quella di Friday Night Lights, LA MILF per eccellenza della tv americana, che qui ha perso il bambino per aborto. Ma non è che l’ha perso per aborto e basta. L’ha partorito al settimo mese. Morto. È nato morto. Lei e il marito non hanno superato il trauma e così lui, un Dylan McDermott perennemente nudo o che si masturba o che si fa qualcuna, l’ha tradita con una sua studentessa. Perché lui sì è un professore. E pure uno psichiatra. Uno strizzacervelli. Ma è anche pazzo. Ha ovvi problemi mentali. E anche sessuali. Soprattutto sessuali. È un maniaco. E poi vede cose. Tipo la vecchia governante che è la madre di Six Feet Under per lui è una strafiga. Vede le cose diversamente dagli altri.
Gli altri chi?
I normali.
Chiii?
I normali.
Ne esistono ancora di persone normali?
Parla piano, che ci ascoltano. I normali sono i non pazzi. Succede che a volte la gente impazzisce e basta. Comunque Connie Britton LA MILF e il marito maniaco decidono di cambiare aria e trasferirsi sulla West Coast, sperando forse di poter vivere dentro un video di Snoop Dogg. Invece no. Invece si prendono una casa creepy da famiglia Addams e ci vanno a vivere con la figlia. Creepy pure lei. Però pure carina. Carina nel senso freak del termine. È Taissa Farmiga.
Chi?
È la sorellina di Vera Farmiga, l’attrice di Tra le nuvole e Source Code. Brava lei. E pure la sorellina. Di lei si invaghisce un paziente del padre. Un giovane pazzo. Uno visto in Kick-Ass. Uno che sogna di fare una strage Columbine style. Lei è una wristcutter, si diverte a tagliarsi le vene, lui è un potenziale killer serial. Bella coppia, vero? Ma attenzione!
Cosa c’è ancora?
Questa serie va vista rigorosamente di sera. Meglio ancora: di notte. Al buio. Da soli. Con un temporale in arrivo. O il vento fuori che ulula furioso.
Ma chi è che ha creato una cosa così spaventosa?
La firma al fondo della serie è quella di Ryan Murphy e Brad Falchuk, gli autori di Nip/Tuck e Glee.
Gleeeeee?
Sì, ma dimenticatelo: qui non si canta. Qui si urla dalla paura.
AAAAAAAAAAAAAAH

(voto 9/10)

domenica 10 luglio 2016

La prima mostra dei Minimal Cult



La prima volta dei Minimal Cult in mostra. In occasione della manifestazione "La notte che non c'era", sabato 16 luglio dalle 21e30 alla libreria Le notti bianche di Vigevano sarà possibile ammirare dal vivo le stampe dei Minimal Cult e i nuovi Minimal Incipit. Sarà presente l'autore.
Di seguito la mappa e l'elenco delle varie iniziative. Vi aspettiamo.



venerdì 8 luglio 2016

Alta fedeltà... alle classifiche!


Alta fedeltà
(UK, USA 2000)
Regia: Stephen Frears
Sceneggiatura: D.V. DeVincentis, Steve Pink, John Cusack, Scott Rosenberg
Tratto dal romanzo: Alta fedeltà di Nick Hornby
Cast: John Cusack, Iben Hjejle, Todd Louiso, Jack Black, Lisa Bonet, Catherine Zeta-Jones, Tim Robbins, Lily Taylor, Joan Cusack, Joelle Carter, Natasha Gregson Wagner, Drake Bell, Bruce Springsteen, Sara Gilbert
Genere: musicalesistenziale
Se ti piace guarda anche: About a Boy - Un ragazzo, L’amore in gioco, Non mi scaricare, School of Rock, Be Kind Rewind, Non per soldi… ma per amore

Dovete sapere che la creazione di una grande compilation richiede più fatica di quanto sembri. Devi iniziare alla grande, catturare l’attenzione! Allo stesso livello metti il secondo brano, e poi devi risparmiare cartucce inserendo brani di minore intensità. Eh... sono tante le regole.
Rob Gordon/John Cusack (Alta fedeltà)

La creazione di una recensione segue all’incirca le stesse regole di quelle di una compilation. L’attacco dev’essere qualcosa che attira subito l’attenzione, e cosa meglio di una bella citazione pronta e servita su un piatto d’argento?
Alta fedeltà è fatto apposta per essere citato. Il libro ancora più del film. Che poi va sempre così. Il libro è meglio del film e anche questo è il caso. Però, per quanto il romanzo originale di Nick Hornby sia ancora più mitico, la trasposizione cinematografica è davvero ottima e rimane anche a distanza di qualche annetto una delle commedie più scoppiettanti e divertenti del nuovo millennio. L’ambientazione è passata da Londra a Chicago, si è americanizzato il tutto, alcune cose sono state semplificate ma per me resta un buonissimo esempio di come adattare un romanzo cult in una pellicola cult allo stesso livello o quasi.

Top 5 delle trasposizioni cinematografiche da libri che ho letto
1) Le regole dell’attrazione da Bret Easton Ellis
2) Il giardino delle vergini suicide da Jeffrey Eugenides
3) Il silenzio degli innocenti da Thomas Harris
4) Fight Club da Chuck Palahniuk
5) Trainspotting da Irvine Welsh

Per il protagonista di Alta fedeltà, Rob Gordon nel film/Rob Fleming nel libro, una compilation deve riuscire a parlare di te stesso, sfruttando però l’arte creata da altri. Ed è anch’essa un’arte. Una cosa valida per le canzoni, così come pure per i film. Se dovessi fare una top 5 dei film che parlano in qualche modo di me, ci metterei sicuramente dentro Alta fedeltà per la passione musicale dei vari personaggi e per la mania maniacale del protagonista di fare liste. Ancora di più mi ritrovo però nel protagonista di un altro romanzo di Nick Hornby, About a Boy - Un ragazzo, anch’esso trasposto in una pellicola americanizzata ma comunque godibile, nonostante l’attualizzazione della vicenda agli Anni Zero abbia eliminato i riferimenti a Kurt Cobain che rendevano il romanzo ancora più memorabile.

Top 5 dei film con cui in qualche modo mi identifico con i protagonisti
1) About a Boy
2) Alta fedeltà
3) (500) giorni insieme
4) Drive
5) Noi siamo infinito

Tornando fedeli ad Alta fedeltà, tra l’altro titolo geniale, è una pellicola ovviamente ad altissimo tasso di musicalità. Con dei personaggi del genere, d’altra parte, non poteva essere altrimenti. Per chi non lo sapesse, Rob/John Cusack è infatti un ex dj proprietario di un negozio di dischi, assistito da due altri geek musicali non da meno: il timido Todd Louiso, di recente riciclatosi come regista ma con risultati decisamente pessimi (vedi Un microfono per due), e lo scatenato Jack Black, il cui successivo School of Rock sembra quasi uno spinoff ritagliato sul suo personaggio in Alta fedeltà.

Top 5 interpretazioni di Jack Black
1) Alta fedeltà
2) School of Rock
3) Be Kind Rewind
4) Amore a prima svista
5) King Kong

Anche io da ragazzino sognavo di lavorare un giorno in un negozio di dischi. Poi sono arrivati Napster e la crisi dell’industria musicale e oggi aprire un negozio di dischi appare un’idea furba tanto quanto mettere su un Blockbuster. Tanto per dire, il proprietario del record store della mia cittadina in cui andavo a comprare i CD da teenager adesso s’è messo a fare il becchino, fatto che trovo particolarmente simbolico e ironic, come canterebbe Alanis Morissette. O, come canterebbe Bob Dylan, the times they are a-changin’…

Top 5 dei miei lavori ideali
1) Marito mantenuto di Jennifer Lawrence
2) Selezionatore di musiche per spot pubblicitari
3) Fare il terzo Daft Punk
4) Assaggiatore di birra Guinness
5) Recensore cinematografico pagato profumatamente

Tre malati di musica le cui vite nel negozio di dischi e fuori sono accompagnate da una colonna sonora che passa da Marvin Gaye ai Belle and Sebastian, da Elton John a Bruce Springsteen (presente anche in un cameo che avrà fatto avere un attacco di cuore al mio blogger rivale Ford), passando per Joan Jett, Katrina & the Waves, Chemical Brothers, Goldie, Velvet Underground, Bob Dylan, Stereolab e un sacco di altri.

Top 5 canzoni del film
1) Jack Black nella cover di “Let’s Get It On” di Marvin Gaye
2) Beta Band “Dry the Rain”
3) Lisa Bonet nella cover di “Baby I Love Your Way” di Peter Frampton
4) Belle and Sebastian “Seymour Stain”
5) Stevie Wonder “I Believe (When I Fall in Love It Will Be Forever)”

Oltre a quei tre disgraziati dei personaggi maschili, sfilano anche la tipa presente e le ex di Rob/John Cusack. Una galleria di donne molto variegata in cui spiccano una Catherine Zeta Jones spumeggiante e una bona Lisa Bonet, mentre più in ombra resta la protagonista femminile vera e propria, l’impronunciabile danese Iben Hjejle, che dopo questa pellicola non stupisce sia tornata abbastanza nell’oblio.

Top 5 donne di Alta fedeltà
1) Catherine Zeta Jones
2) Lisa Bonet
3) Natasha Gregson Wagner (la giornalista musicale)
4) Iben Hjejle
5) Joelle Carter

Musica, donne, risate, qualche momento più introspettivo ma non troppo, una serie di personaggi fantastici… difficile chiedere di più a una commedia. Spiace averla tradita con altri film negli ultimi anni, ma a ritrovarla Alta fedeltà è ancora in splendida forma e una botta gliela si dà di nuovo più che volentieri. Anche più di una. Fino a che non capiterà di innamorarsi di nuovo.

(voto 8+/10)

mercoledì 6 luglio 2016

Narcos, la serie che crea più dipendenza della cocaina

Narcos
(serie tv, stagione 1)
Rete americana: Netflix
Rete italiana: Netflix Italia
Creata da: Carlo Bernard, Chris Brancato, Doug Miro, Paul Eckstein
Cast: Boyd Holbrook, Wagner Moura, Pedro Pascal, Joanna Christie, Luis Guzmán, Paulina Gaitan, Stephanie Sigman, Danielle Kennedy, Juan Pablo Raba, Bruno Bichir, Alberto Ammann, Vera Mercado
Genere: roba buena
Se ti piace guarda anche: Gomorra - La serie, 1992, Breaking Bad

La vuoi una roba giusta?
La vuoi una roba buena?
La vuoi una roba che non ti fa dormire la notte?
La vuoi una roba che ti dà una botta più di qualunque droga tu abbia mai provato?
Ce l’ho io. Si chiama Narcos. È la nuova serie tv di Netflix. Ti offro la prima dose gratis. La puntata pilota è una vera e proprio bomba, meglio della bamba. Ti garantisco che poi non potrai più farne a meno e ti dovrai sparare anche gli altri 9 episodi uno in fila all’altro. Se ti piace l’assaggio, le altre puntate te le faccio pagare solo 50 euro l’una. Se le prendi tutte in un colpo solo, ti faccio lo sconto: 300 euro.

Dici che è una serie Netflix e Netflix sta per sbarcare in Italia al prezzo di 7.99 euro al mese?
Bueno. Allora se la prendi da me ti vendo l’abbonamento a 4.99 al mese, e dentro ci metto anche l’opzione per vedere Sexflix, la versione porno di Netflix, più una batteria di pentole in acciaio inox, che lo so che nessuno può resistere a una batteria di pentole in acciaio inox.

Visto che è una serie di Netflix, potresti pensare che Narcos è il nuovo Orange Is the New Black. Invece no. Narcos es el nuevo Gomorra. Sarà anche una produzione televisiva statunitense, però qui si respira più che altro un’atmosfera latinoamericana, grazie all’ambientazione colombiana e alla parlata ispanica che nel giro di una manciata di episodi diventa contagiosa quanto quella di Gomorra - La serie, de puta madre!

Narcos ti racconta le vicende di un tizio al cui confronto Don Pietro e Genny Savastano sembrano quasi dei dilettanti del crimine. Pablo Escobar è un mix tra Scarface, Don Vito Corleone e Osama Bin Laden. È un trafficante di cocaina, anzi è IL trafficante di cocaina. Se adesso hai una (o più di una) striscia di coca su per il naso puoi dire grazie a lui. Si deve infatti a Escobar se la cocaina è stata esportata con così grande successo negli Stati Uniti, diventando uno status symbol per gli yuppie degli anni ‘80 prima dall’altra parte dell’Oceano e poi in Europa, Italia compresa. Oltre a ciò, Pablo Escobar è anche un assassino, un terrorista e pure un uomo politico. Vedi tu quale delle tre cose sia più pericolosa. Capisci bene che al suo cospetto i Savastano si devono dare un attimo una svegliata, se vogliono ambire al ruolo di super cattivoni e poter avere i Minions dalla loro parte.

Oltre a uno stile criminale non troppo distante da Gomorra - La serie, Narcos ti ricorderà vagamente anche un’altra serie italiana recente, l’altra migliore serie italiana recente: 1992. Pure qui abbiamo infatti un mix tra realtà e finzione, personaggi veri e fittizi, cronaca di quanto davvero successo nei decenni passati, in questo caso si parte dai primi anni ‘80 e si arriva fino ai primi anni ‘90, e infarcimento televisivo. Se 1992 predilige però giocare sul versante fiction, Narcos ha uno stile un po’ più documentaristico, a volte si ricorre proprio a spezzoni tratti da filmati dell’epoca, e ha uno spirito più aderente ai fatti. O almeno così sembra, visto che, non so te, ma io prima di questa serie al riguardo di Pablo Escobar sapevo poco o nulla, se non che veniva esaltato su alcune t-shirt tamarre che andavano di moda - non si sa bene perché - qualche anno fa.

Narcos comunque non è un documentario, paisà. Narcos è una grande serie che sa bene come usare la storia, l’incredibile storia di Pablo Escobar e della Colombia a cavallo tra 80s e 90s, per creare un ottimo prodotto di intrattenimento televisivo. Non ti devi certo aspettare una visione leggera o disimpegnata, però sa essere davvero accattivante anche per i meno appassionati di narcotraffico o di storia colombiana recente o di malavita in generale. Narcos è una fottuta figata che seguirai con enorme interesse - salvo giusto qualche sporadico calo d’attenzione qua e là - per tutti e 10 gli episodi che vanno a comporre la prima stagione. Ma tranquilo chico che la seconda è già stata confermata.
Se Narcos si fa seguire che è un piacere anche da chi Pablo Escobar fino ad ora l’aveva sentito nominare a malapena, c’è un motivo. Il tratto maggiormente distintivo della serie, che - chissà? - magari tu potresti anche considerare una cosa fastidiosa, è la voce fuori campo.
Tutti gli episodi di Narcos sono accompagnati, e parecchio, dalla voce di un agente americano della DEA, l’agenzia statunitense che combatte il traffico internazionale di stupefacenti. Il suo punto di vista permea l’intera serie e per fortuna, per quanto si tratti di un tipo molto yankee, non è un agente perfettino o il più alto baluardo di moralità. Pur non approvando sempre l’uso della voce fuori campo, che a volte può risultare superfluo o in certe occasioni può nascondere l’incapacità di un regista di mostrare ciò che vuole dire con le immagini anziché con le parole, qui è davvero necessario. Senza la voce fuori campo, senza un punto di vista esterno, Narcos sarebbe una serie seguibile e comprensibile solo da un pubblico di colombiani che hanno vissuto, e soprattutto che sono sopravvissuti, nel periodo raccontato. Quindi la voce fuori campo in questo caso ci sta tutta e dopo un po’ offre anch’essa un senso di dipendenza. Così come i personaggi, tutti più negativi che positivi, ottimamente interpretati da un cast di volti non troppo conosciuti, almeno dalle nostre parti, a parte Pedro Pascal già segnalatosi come Oberyn Martell in Game of Thrones, e l’ex calciatore del Real Madrid Raul, scusa volevo Alberto Ammann visto nelle pellicole spagnole Cella 211 ed Eva. E poi c’è anche quella faccia cattiva di Luis Guzmán che quando c’è da fare qualche personaggio latino lo chiamano sempre.
utto in questa serie funziona così bene che persino la colonna sonora ti piacerà, anche se come me le latinoamericanate le odi, a partire dalla magnifica sigla “Tuyo” di Rodrigo Amarante. È tutta roba di prima qualità. Tutta roba tagliata fina, più fina della maglietta di “Questo piccolo grande amore” del Baglioni.
E allora, ti sei deciso? La vuoi questa prima dose di Narcos?
Se poi però quando la finisci vai in crisi d’astinenza, son cavoli tuoi.

(voto 8/10)

View post on imgur.com

lunedì 4 luglio 2016

Lost in translation, che ca**o hai detto?


Lost in Translation - L’amore tradotto

(USA, Giappone 2003)
Regia: Sofia Coppola
Sceneggiatura: Sofia Coppola
Cast: Scarlett Johansson, Bill Murray, Giovanni Ribisi, Anna Faris, Catherine Lambert, Fumihiro Hayashi, Hiroko Kawasaki, Daikon
Genere: straniero
Se ti piace guarda anche: Prima dell’alba, Prima del tramonto, Somewhere, (500) Giorni insieme, The Grudge

Un film che si apre con un primo piano delle chiappe di Scarlett Johansson, ma cioè, dove lo trovate? E un film con un’apertura del genere secondo voi può non essere un cult cannibale assoluto?
Sapete già la risposta.
Io mi rendo conto che a qualcuno un film come Lost in Translation può non dire niente. Mi rendo conto che per qualcuno è come vedere un film in giapponese. Il punto è proprio questo: non è un film comprensibile per tutti. Per qualcuno, qualcosa andrà perso per sempre nella traduzione. Vedrà le immagini, ma non afferrerà il loro senso.
Traduco: se non sei indie, non puoi apprezzare, non puoi proprio capire questo film. E se sei indie, non puoi dire di essere indie perché altrimenti non lo sei più. Chiaro?

Vedendolo con sguardo superficiale, si può pensare che in questo film non succeda un granché. Invece mostra esattamente cosa si prova a sentirsi estranei in un paese straniero e mostra cosa si prova a innamorarsi. Se per voi è poco… Uno di quegli amori destinati però a risolversi con un grande nulla di fatto, ma che solo per questo non significa non sia un’ esperienza importante.
Fondamentalmente, Lost in Translation è queste due cose: una storia d’amore/amicizia e anche il racconto dell’avventura giapponese di due cittadini americani, tra camere d’hotel, karaoke e strane usanze orientali. Bill Murray alle prese con tali usanze è qualcosa di sottilmente esilarante. Basta un solo suo sguardo per avere un effetto comico che gente come Enrico Brignano o Alessandro Siani o qualcun altro di questi pseudo umoristi si può giusto sognare.

Quest’esperienza è però vista soprattutto attraverso il punto di vista di Scarlett Johansson, alter ego dell’autrice Sofia Coppola. È chiaro che il suo racconto, forse in parte autobiografico, ci presenta una visione parziale di Tokyo e del Giappone. La visione di chi c’è passato per gli hotel di lusso e non per i bassifondi, dopo tutto è pur sempre la figlia di un certo Francis Ford. La sua visione del mondo comunque non è quella di chi se la tira perché frequenta i ricchi e famosi, ma semmai è quella di chi li prende allegramente per il culo. Il maritino di Scarlett interpretato da un Giovanni Ribisi meno inquietante del suo solito è il classico fotografo dei VIP iperattivo nei confronti del lavoro, meno nei confronti della mogliettina gnocca. Ancora più evidente la parodia delle star hollywoodiane nel personaggio di Anna Faris, una simil Cameron Diaz superficiale e oca. Sicuri quindi che Sofia Coppola proponga una visione così radical-chic? Non è forse il contrario?
Per quanto riguarda la parte sentimentale, Lost in Translation è un classico boy meets girl movie. Correggiamoci subito: un old boy meets girl movie. Bill Murray, divo hollywoodiano in trasferta in Giappone per girare uno spot per il Suntory whisky, finisce mica scemo per vedersi con Scarlett Johansson, altra ospite occidentale dell’hotel in cui alloggia e come lui in crisi matrimoniale. Il loro è un rapporto d’amicizia? D’amore? Un rapporto paternalistico?
Forse una sola tra queste cose, forse tutte queste cose combinate insieme, il bello del film è quello di lasciare libera l’interpretazione. L’altra cosa splendida del film è Scarlett Johansson, qui di una bellezza folgorante, persino più del solito. Una bellezza fine, tipicamente coppoliana. La bellezza di una giovane attrice non ancora del tutto consapevole del suo enorme fascino e che questa pellicola avrebbe trasformato in un’icona e sex-symbol mondiale.

L’altro punto di forza del film è come Sofia Coppola è riuscita a creare non solo un film o una storia d’amore, ma un’atmosfera. Lost in Translation è una sensazione realizzata oltre che tramite i due protagonisti attraverso una fotografia magnifica e una colonna sonora ultra cool sbalorditiva che comprende Jesus and Mary Chain, Peaches, Death in Vegas, Phoenix, Sebastien Tellier, Air, Squarepusher, Chemical Brothers e My Bloody Valentine, oltre alle fantastiche scene di karoke. Bill Murray che canta stonato ma emozionato “More Than This” dei Roxy Music e Scarlett Johansson che con tanto di parrucca rosa intepreta “Brass in Pocket” dei Pretenders sono due momenti impagabili.

Lost in Translation è una sensazione difficile da descrivere a parole. Impossibile da definire con le parole. La stessa Sofia Coppola ne è consapevole e quindi con una trovata geniale alla fine lascia tutti con un palmo di naso, con le parole pronunciate da Bill Murray all’orecchio (sexy pure quello) di Scarlett Johansson che si perdono in mezzo ai rumori della folla, lost in the noise.

voto 9+/10


In chiusura, partecipa anche tu al TOTO BILL MURRAY!
Cosa ha sussurrato Bill Murray all’orecchio di Scarlett Johansson durante il loro ultimo incontro?

1) Arigatò!
2) Non averti trombata rimarrà per sempre il più grande rimpianto della mia vita.
3) Supercazzola prematurata con scappellamento a destra come se fosse antani.
4) Non sposare Ryan Reynolds, Scarlett: divorzierete perché lui ce l’ha piccolo.
5) Sofia Coppola è una furbona: il mio dialogo finale non è un granché e così mi ha abbassato il volume.
6) Lo ammetto: sono stato io a mettere le foto di te nuda in rete.

Ed ecco la vera risposta.

venerdì 1 luglio 2016

Birdman, l’uomo che sussurrava agli uccelli


Birdman
(USA, Canada 2014)
Titolo originale: Birdman or The Unexpected Virtue of Ignorance
Regia: Alejandro González Iñárritu
Sceneggiatura: Alejandro González Iñárritu, Nicolás Giacobone, Alexander Dinelari, Armando Bo
Cast: Michael Keaton, Emma Stone, Edward Norton, Naomi Watts, Zach Galifianakis, Andrea Riseborough, Amy Ryan, Merritt Wever
Genere: super
Se ti piace guarda anche: Il cigno nero, The Tree of Life, Arca russa

Sei finito davvero male Cannibal Kid o forse non dovrei chiamarti più così visto che adesso ti fai chiamare Marco Goi come se quel nome fosse più rispettabile o serio manco ti credessi Lorenzo Cherubini che tanto è e resterà sempre per tutti Jovanotti e basta e per te è la stessa cosa visto che puoi cambiare nome finché vuoi ma tanto ciò non può cambiare chi sei cioè chi sei veramente e se non sai chi sei te lo dico io: sei solo uno sfigato che non ha più niente ma che aveva un passato glorioso e adesso è andato tutto via puff! eri finito a scrivere per le riviste più grandi del pianeta come Time e Variety e Ciak e il New Yorker e La Repubblica di sto cacchio e persino Playboy e ora non ti si fila più nessuno e così hai deciso di riaprire quel tuo blogghettino schifoso che ti aveva portato alla ribalta tanto tempo fa e a cui hai voltato le spalle in men che non si dica appena ti han proposto quattro soldi e un po’ di fica fino a che hai avuto ciò che meritavi e sei rimasto senza niente e sei tornato al tuo primo vecchio amore ovvero quel dannato Pensieri Cannibali e lo sai che questo è un ritorno che piacerà agli americani perché gli americani adorano i grandi comeback ma qua siamo in Italia qua siamo nella piccola Italietta e qua i ritorni li guardiamo con diffidenza anche se mi potrai dire che qua abbiamo avuto decenni di Berlusconi e sì è vero solo che i suoi non contano come comeback veri e propri perché lui in tutto questo tempo andarsene non se n’è mai andato e per lui le cose non sono andate come per Michael Keaton in Birdman ovvero quel film che racconta di un attore celebre per aver fatto una fortunata saga su un supereroe chiamato appunto Birdman che sono vent’anni che non se lo fila più nessuno ma lui cerca di dimostrare di essere un attore vero o meglio ancora un artista completo e così si dedica al teatro dove dirige e interpreta l’adattamento di una storia di Raymond Carver “What We Talk About When We Talk About Love” per la precisione e sono sicuro che tu Cannibal o forse dovrei chiamarti Marco che se no ti offendi non sai manco chi è se non per sentito dire e di sicuro non hai mai letto niente di suo perché sei così ignorante ed è questo il motivo principale per cui sei finito dove sei finito per cui sei stato solo una stella cometa del mondo del blogging senza sostanza che si è bruciata in fretta appena si è avvicinata al Sole come Icaro e la prima delle ragioni è appunto che sei così ignorante che probabilmente non sai manco chi è Icaro e di certo la mitologia greca non fa per te perché i tuoi miti sono gente come Julian Assange o Kanye West e Jessica Chastain che sì sarà una bella figa ma non è che sia tutto questo grande riferimento culturale così come nemmeno Emma Stone che in Birdman è fenomenale ed è da Oscar perché ha degli spettacolari occhioni disumani che con un solo singolo sguardo ci mostrano tutto ma di culturale lei c’ha solo il bel cul come nota subito l’occhiolino attento del redivivo Edward Norton che pure per lui questo è un gran comeback come si deve e finalmente torna a regalarci una di quelle interpretazioni fantastiche che dopo la 25a ora del 2002 si era dimenticato di poter fare e la stessa cosa è capitata anche a Naomi Watts che negli ultimi anni sembrava essersi scordata di come si fa a recitare e intendo recitare per davvero come in Mulholland Drive e la stessa medesima cosa è successa pure a Michael Kiii?ton anzi a lui no perché lui non aveva mai fatto una performance davvero memorabile e di lui nessuno ha mai pensato che fosse un attore formidabile quando per tutti è sempre stato Batman e con Batman voglio dire il Batman di Tim Burton ed è la stessa cosa per il suo personaggio nel film che è costantemente identificato con Birdman e allora finzione e realtà si mescolano e non si riesce più a distinguere cosa è una e cosa è l’altra e non importa capirlo perché la nostra vita ormai è così è solo una grande recita in un mondo dominato dai social network in cui siamo tutti protagonisti e in cui siamo Tutti Famosi come nel partito immaginario della serie tv di Maccio Capatonda Mario che poi così immaginario non è visto che sembra Forza Italia e d’altra parte chi può dire cosa è vero e cosa no in un mondo in non ci sono limiti ma solo confini mentali e gabbie in cui si cerca di imprigionare ogni campo del sapere e piazzare delle etichette su tutto ed è ciò che è capitato anche a te Cannibal Kid pardon Goi Marco quando la gente da te si aspettava solo recensioni cazzare e divertenti e quando tu hai provato a fare qualcosa di differente e di più serio e di più “maturo” il pubblico ti ha subito voltato le spalle e sei diventato solo l’ombra di te stesso e ti sei trasformato in un giornalistucolo qualunque di quelli che si credono di avere qualcosa di importante da dire al mondo e invece il loro è solo un bla bla bla in mezzo ai miliardi di tweet e di post e di video pubblicati e di bla bla bla che si perdono nella rete e vengono postati e condivisi e likeati alla stessa velocità con cui scompaiono nel nulla e il tuo errore più grande è stato quando hai cercato di importi come Marco Goi quando a nessuno interessa di Marco “chi cazzo è?” Goi ma tutti vogliono solo Cannibal Kid il buffone di corte che prende in giro i film e non ha né lo spessore né la capacità di parlarne seriamente sebbene in alcuni casi ci sarebbe proprio da farlo perché in mezzo a tanta spazzatura e a tanti lavori fotocopia ogni tanto arriva qualcosa di fantastico come Birdman che è una pellicola di quelle enormi che lasciano il segno e cambiano il modo di girare e di concepire il Cinema come 2001: Odissea nello spazio o The Tree of Life o Boyhood e mentre sei lì a guardarlo ti rendi conto di essere di fronte a qualcosa di epocale e di nuovo e di differente e non trovi le parole per fare giustizia a qualcosa di così grande e realizzi che la critica o il blogging o come diavolo preferisci chiamare le tue stupide patetiche recensioni barra post barra pseudo articoli giornalistici barra cazzate per quanto ti sforzi non potranno mai rendere tutta la bellezza e la genialità di un film del genere che sembra uscito dritto dai tuoi sogni e che assomiglia in tutto e per tutto alla pellicola che vorresti girare tu se solo fossi un regista e non un misero scribacchino da due Lire che adesso non valgono niente ma il Movimento 5 Stelle le vuole reintrodurre quindi chi può dire cosa varranno in futuro e magari varranno quanto un’Opera d’Arte a cui inchinarsi che porta il cinema verso il futuro laddove Hollywood e il grande pubblico sono ancora attaccati a modelli culturali arcaici e ai blockbusteroni e alle pellicole su eroi e supereroi vari mentre Birdman vola alto su di noi e ci regala il miglior film sui supereroi mai visto senza essere per niente un film sui supereroi ma solo un film super in cui persino Zach Galifianakis è super e ci fa inoltre gettare uno sguardo anzi ci offre una panoramica sul cinema dei prossimi anni o forse decenni perché questo film è come una scoperta scientifica che fa progredire le conoscenze dell’uomo di anni per non dire decenni e il regista Ale-Alejandro Ale-Alejandro González Iñárritu ci scaraventa dentro un (finto) piano sequenza unico come fosse una versione divertente e godibile di Arca russa e ci regala un flusso continuo di immagini e di pensieri ed emozioni a ritmo di jazz e ci propone un modo nuovo tanto differente quanto geniale di raccontare una storia al cinema da cui non si potrà più tornare indietro e da cui io non voglio più tornare indietro e da cui noi non vogliamo più tornare indietro sia io grande mitico leggendario Cannibal Kid che tu povero stupido ridicolo Marco “ma chi cazzo è io proprio non lo so” Goi.

voto 9,5/10

(vuoi leggere questa recensione su pensiericannibali? clicca qui)



mercoledì 29 giugno 2016

Psyco, il film per cui le donne smisero di fare la doccia


Psyco
(USA 1960)
Titolo originale: Psycho
Regia: Alfred Hitchcock
Sceneggiatura: Joseph Stefano
Tratto dal romanzo: Psycho (inizialmente intitolato in Italia Il passato che urla) di Robert Bloch
Cast: Janet Leigh, Anthony Perkins, John Gavin, Vera Miles, John McIntire, Martin Balsam, Simon Oakland
Genere: psycopatico
Se ti piace guarda anche: American Psycho, Hitchcock, Bates Motel, Gli uccelli
Qual è il film più, come dite voi giovani?, cool del momento?
Il grande e potente Oz? The Host? Spring Breakers?
No, no e ancora no, cari i miei giovincelli cresciuti da madri distratte. Il film più attuale oggi è Psyco. Sì, quel Psyco. Quello del 1960 girato dal fu Alfred Hitchcock. Ne avrete sentito parlare di sicuro, a meno che non siate stati proprio tirati su da delle mamme, come le chiamerebbero i francesi?, ah sì: les incompétents.

Psyco è attuale più che mai perché negli USA è appena stata lanciata una nuova serie tv, Bates Motel, che è un prequel della storica pellicola thriller, in cui i panni del giovane Norman Bates sono vestiti da Freddie Highmore. Scelta quanto mai azzeccata: Freddie Highmore è stato qualche anno fa il tenero bambino dello strappalacrime Neverland, oh quanto m’ha fatto piangere quel film, e il suo volto innocente è quindi quanto mai perfetto per trasformarsi in una maschera d’inquietudine. Stessa scelta optata dal grande Hitchcock quando scelse un Anthony Perkins giovane quanto me ai tempi, un attore fino ad allora conosciuto principalmente come volto rassicurante in pellicole romantiche.
La novella serie tv Bates Motel va a rinverdire il filone dei serial killer che sta vivendo una grande stagione quest’anno sul piccolo schermo, grazie al social killer di The Following, di cui il mio caro (nel senso che mi fa spendere un sacco di soldi) figliolo vi avrà di sicuro già parlato, e grazie anche all’imminente ritorno di un altro dei più celebri maniaci di fiction di sempre: Hannibal The Cannibal Lecter nella serie NBC Hannibal, interpretato questa volta dal danese Mads Mikkelsen. ‘Sti cannibali però io comincio a non reggerli più. Vi rendete conto di cosa si prova ad avere un figlio che per nome d’arte o, com’è che dite voi giovani?, nickname, s’è scelto Cannibal Kid? Non ve ne rendete mica conto, no. Comunque di questa rivisitazione dalle tinte teen e in chiave moderna del personaggio avrà modo di parlarvene meglio mio figlio.

Io aggiungo anche che il mito di Psyco rivive pure sul grande schermo in Hitchcock, pellicola in arrivo a giorni nelle sale italiane. Un film da non perdere per ogni appassionato del regista inglese e del cinema in generale, ricco di aneddoti sulla lavorazione della pellicola. E poi c’è pure lo spot dei cereali Choco Krave che cita la celebre scena della doccia…
Queste sono le ragioni per cui Psyco sta ritornando prepotentemente alla ribalta, ma l’attualità della pellicola non è solo dovuta a questo pluri ripescaggio. Psyco è un film ancora oggi, a più di 50 anni dalla sua uscita, di un’estrema modernità, per tematiche e per realizzazione, oltre che sempre una visione di sconvolgente tensione, superiore alla totalità o quasi dei thrillerucoli usciti nel frattempo. Mi piace immaginarmi un po’ come questo film. Non intendo che sono inquietante allo stesso modo. Non è quello che volevo dire. Ciò che intendevo è che mi piace pensare di essere invecchiata bene proprio come questa pellicola. Si possono vedere le rughe, senza lifting è difficile non ci siano, però i nostri anni li portiamo bene.

Cos’ha tanto di speciale, questo Psyco? Me lo chiedeva sempre mio figlio. Poi l’ha finalmente visto e l’ha capito. È una pellicola straordinaria. Rispetto ad altri film già notevoli di Hitchcock, possiede una tensione ancora maggiore e costante. L’unica illusione di tranquillità è nella prima scena, in cui la macchina da presa ci accompagna dentro una stanza di un hotel. Non una camera inquietante come la numero 1 del Bates Motel, bensì una stanza in cui Marion incontra il suo innamorato. Oh, che teneri. Poi basta.
È solo un’illusione, ve l’ho detto. Subito dopo Hitchcock comincia a macinare le sue trame gialle. Inizialmente con la fuga di Marion, la bionda Marion. Com’è che gli uomini amano tanto le bionde, ma poi si sposano le more? Boh, sarà che siamo più affidabili, comunque meglio per noi more. Fatto sta che, laddove molte altre pellicole del regista cicciobombo, e diciamolo che magrolino certo non era, sono a tratti attraversate da vicende romantiche e toni da commedia leggera, qui a parte la citata concessione iniziale si viaggia a mille. E così Marion prende e va via in auto. Oh, quanto piacerebbe farlo anche a me. Scappare via dalla mia famiglia, almeno ogni tanto. Andare via da tutti. Peccato che sì ho la patente, ma è da così tanto tempo che non guido oramai che mi sono dimenticata come si fa. E l’auto, poi? Mio figlio non mi darebbe mai la sua. Maledetto Kid. Ma si può chiamarsi Cannibal Kid? A l’è propi ‘n drugà!

Quella con Marion che scappa via da tutto e da tutti è una parte tesa già di suo, ma non è che l’inizio di quello che rapidamente si trasformerà in un incubo. Io sono una romantica, a me piacciono le grandi storie d’amore, i film di paura di solito cerco di evitarli, sono più una roba per quel drugà di mio figlio, però Psyco è Psyco. E Norman Bates è Norman Bates.
Voi spettatori di oggi siete già preparati, ma noi che siamo andati a vederlo al cinema negli anni Sessanta eravamo del tutto inconsapevoli di ciò cui stavamo per assistere. Anthony Perkins, come detto, era un volto tenerone delle pellicole sentimentali che tanto piacevano a me. Non avrei mai sospettato che fosse capace di fare qualcosa di male, con quel bel visino lì. Sì, questo benedetto maledetto Bates Motel aveva un che di sinistro, però quello che succede dopo non ce lo potevamo mica immaginare, all’epoca.
La scena della doccia è stata uno shock pazzesco. La volete sapere una cosa? Da allora non ho mai più fatto una doccia in vita mia. Da allora in poi ho sempre preferito fare il bagno nella vasca. Lo trovo molto più rilassante. Sarà per colpa tua, dannato Hitchcock?

ATTENZIONE CHE VI RIVELO COSA SUCCEDE NEL FINALE O, COM’E’ CHE SI DICE?, ATTENZIONE SPOILER
Il resto della vicenda non è da meno. È persino più preoccupante. Il finale presenta un colpo di scena tanto clamoroso che, per non far perdere l’effetto sorpresa, Hitchcock cercò di acquistare tutte le copie del romanzo di Robert Bloch da cui ha tratto il film per impedire alla gente di scoprirlo. E cosa scopriamo? Scopriamo che la mamma era morta e Norman Bates aveva preso le sue sembianze. Vi sembra una cosa normale? Come se uno scrivesse un, come si chiama?, un post su, come si chiama?, su un blog e lo firmasse a nome della madre. E guardate come tocca a me firmare questo post? Come la mamma di Cannibal Kid. Ma dico, con tutti i nomi che poteva scegliersi, proprio uno così?
Io non farei mai del male a una mosca, ma due sculacciate questa sera prima di andare a dormire a quel debosciato di mio figlio non gliele leva nessuno.

voto 10/10

La mamma di Cannibal Kid